SARS-COVID-2 e Ozonoterapia

Uso dell’ozonoterapia nell’infezione da SARS-CoV-2 – Gruppo di lavoro ISS-INAIL

L’ozonoterapia, e in particolare l’autoemoinfusione maggiore, è stata proposta anche nel trattamento di pazienti COVID-19. Tale utilizzo si basa, in buona parte, sull’osservazione che (attraverso l’induzione di perossidazione lipidica e fosfoproteica con conseguente danno del capside), l’ozono può esercitare un’attività antivirale diretta (Murray et al., 2008). È stato anche ipotizzato che tale effetto potrebbe essere specificamente rilevante nei confronti di coronavirus come SARS e MERS (Sunnen, 2013, rev . 2014).

Quanto l’attività antivirale dell’ozono sia realmente osservabile in vivo, tuttavia, rimane da definire, sia perché – su base teorica – l’induzione di uno stress ossidativo transitorio e l’iniziale rilascio di citochine potrebbero perfino stimolare la riproduzione virale, contrapponendosi all’eventuale effetto virucida diretto (Bocci et al., 1998), sia perché le proprietà antiossidanti endogene proteggono di fatto l’integrità delle particelle virali (Martinez-Sanchez et al., 2020).

I risultati degli studi clinici condotti in pazienti affetti da infezioni virali sono in effetti piuttosto discordanti. Uno studio clinico condotto diversi anni fa in pazienti con infezione da HIV non ha mostrato alcun effetto antivirale dell’autoemoinfusione maggiore (Bocci et al., 1998), mentre in pazienti affetti da epatite C è stata riferita una riduzione della carica virale a seguito del trattamento con autoemoinfusione maggiore più insufflazione rettale di ozono (Zaky, 2011). È stata inoltre riportata una risposta clinica immediata in 5 pazienti affetti da Ebola trattati da due clinici su invito del Presidente della Sierra Leone (Rowen, 2019).

Oltre all’ipotizzata attività antivirale, i meccanismi che sarebbero alla base della possibile efficacia dell’ozono in COVID-19 comprendono gli effetti antiossidante, antinfiammatorio, immunostimolante, ossigenante e citoprotettivo (Martinez-Sanchez et al., 2020; Valdenassi et al., 2020).Sebbene la maggior parte di tali meccanismi possa teoricamente esitare in un effetto benefico in pazienti affetti da COVID-19, al momento (come per la maggior parte degli altri trattamenti proposti) mancano ancora delle dimostrazioni dirette ottenute in studi controllati.

Recentemente sono stati descritti due casi di pazienti con COVID-19 trattati con ozonoterapia. I pazienti hanno ricevuto per 7 giorni un’autoemoinfusione di 100ml di sangue trattati con ossigeno- ozono in rapporto 1:1 con concentrazione finale di ossigeno-ozono di 20 μl/ml di sangue. La terapia con ossigeno-ozono si aggiungeva alla terapia con antivirali, antibiotici, immunoglobuline e omeprazolo e alla supplementazione con ossigeno (3 L/min). Entrambi i pazienti sono migliorati sia dal punto di vista sintomatologico che radiologico con negativizzazione per acidi nucleici di SARS-CoV-2 del tampone naso-faringeo e sono stati dimessi a 18 e 7 giorni dal ricovero. Confrontando il decorso di malattia di questi due pazienti trattati con ossigeno-ozono terapia in aggiunta alla terapia standard (vedi sopra) con 2 pazienti con COVID-19 di paragonabile gravità ma trattati con terapia standard, si osservava in questi ultimi un periodo di tempo più lungo di shedding virale e di ricovero ospedaliero (Zheng et al., 2020).

Sembra che l’ozonoterapia tramite autoemoinfusione maggiore sia attualmente utilizzata presso alcuni centri clinici italiani per il trattamento di pazienti con infezione da SARS-CoV-2. Per quanto a nostra conoscenza, tuttavia, i risultati di questi trattamenti non sono stati ancora pubblicati.

Fonte: ISS